Relativamente all’introduzione e diffusione del Buddhismo in Tibet, vuole la leggenda, risalente nella sua versione originale all’inizio del IX secolo, che durante il regno di Lha Tho-tho-ri, cadde miracolosamente dal cielo, sul palazzo reale, un sutra in cui erano esposte le dieci virtù della dottrina Buddhista.
Altre varianti raccontano che caddero più sutra, alcuni oggetti sacri – come per esempio i sigilli – e addirittura, secondo alcune versioni, un piccolo stupa.
Anche se i tibetani del tempo non furono in grado di leggere le opere in questione, questi oggetti, carichi di presagi, furono conservati e gelosamente custoditi.
Dal punto di vista storico, invece, abbiamo preziose testimonianze di importanti eventi susseguitisi negli anni, che contribuirono in modo determinante all’affermarsi e al diffondersi del Buddhismo in Tibet: in particolare si tratta di editti reali e veri e propri concili teologici.
Il patrocinio reale alla diffusione del Buddhismo in Tibet: i Re del Dharma
Fu con il Re Srong-btsan sGam-po che si consolidò l’unità tribale e le frontiere del regno cominciarono ad allargarsi. Egli inoltre spostò la sua residenza a Lhasa, erigendo sul Poggio Rosso un fortilizio sulle cui rovine, un millennio dopo, sarà edificato il Potala.
Egli cominciò a introdurre nel Paese la nuova religione: invitò Maestri Buddhisti dalla Cina e dal Nepal e promosse la traduzione di diversi sutra in tibetano. Questo Re e i suoi due successori, Khri Srong-lde-btsan e Ral-pa-can, per questo forte impegno a favore del Buddhismo, furono venerati per anni come personaggi di natura quasi sacrale: furono insigniti dell’appellativo di “Re del Dharma” e, nella mitologia popolare, furono sovrapposti a tre manifestazioni di altrettanti bodhisattva: Avalokitesvara, Manjusri e Vajrapani, i protettori, rispettivamente, delle tre stirpi buddhiche.
E’ comunque molto verosimile che i motivi che spinsero questi sovrani a introdurre ed istituzionalizzare il Buddhismo in Tibet non fossero solo di ordine spirituale.
Il confronto dottrinale tra Buddhismo e Bon delle origini: il ruolo di Padmasambhava
In particolare fu Khri Srong-lde-btsan che invitò in Tibet, dall’Asia Centrale, un famoso Guru, preceduto da una grande fama di studioso e taumaturgo: Padmasambhava.
Con lui, la diffusione del Buddhismo in Tibet fu dilagante e venne sancita, nel 775, dall’edificazione del complesso monastico di Samye – condotta sul modello indiano a struttura di mandala – e da un importante editto reale in favore del Buddhismo.
Ma gli adepti della religione indigena – il Bon delle origini – non si rassegnavano alla perdita dei loro privilegi, soprattutto presso la corte: fu così che, per dirimere la questione, Khri Srong-lde-btsan ordinò nel 784, un confronto tra gli esponenti più qualificati delle due religioni.
Il contraddittorio vide alternarsi i dotti in dispute dialettiche e, raccontano le cronache, anche in dimostrazioni in cui si fece ricorso a facoltà paranormali.
L’esito finale fu a favore dei buddhisti, a capo dei quali figurava proprio Padmasanbhava.
Non è un caso se l’agiografia di Padmasanbhava, patriarca e figura mitica del Buddhismo Sanscrito Tibetano, è una delle opere letterarie che gode di maggior popolarità in Tibet. La sua figura è riverita da tutti i credenti , dai quali è invocato anche come il “Prezioso Maestro” – guru Rimpoche.
La disputa teologica tra Buddhismo dell’illuminazione progressiva e Buddhismo dell’illuminazione subitanea: il Concilio del Tibet
Quando il Buddhismo divenne dunque la religione ufficiale del Tibet, cominciò a porsi un nuovo problema: infatti gli insegnamenti Buddhisti erano giunti in Tibet da fonti diverse: dalla Cina, dall’Asia Centrale, dall’India e dal Nepal, ciascuno con sue sfumature dottrinali proprie.
Gli aderenti al Buddhismo di ascendenza indiana peroravano l’avvicinamento progressivo e graduale all’illuminazione spirituale, grazie all’accumulazione paziente di meriti morali che risolvevano in questo modo la questione della retribuzione karmica.
Al contrario, i seguaci del Buddhismo di origine cinese sostenevano la teoria dell’illuminazione subitanea. Anche in questo caso, Khri Srong-lde-btsan indì un “Concilio del Tibet” per dirimere la questione, tra il 792 e il 794. I “gradualisti” risultarono i vincitori e, anche in virtù del fatto che si trattava del gruppo più numeroso, venne emanato anche questa volta un editto reale in materia.
Attraverso vicende alterne, il Buddhismo continuò a diffondersi e consolidarsi nella sua dottrina nel corso dei secoli: il successivo evento rilevante per l’identità del Buddhismo Tibetano, così come oggi lo conosciamo, avrà luogo solo nel XV secolo con l’ istituzione del Dali Lamato.
La dottrina del Buddismo Tibetano
Diverse sono le classificazioni possibili dell’intera dottrina, in considerazione del vastissimo corpus di precetti, teorie e pratiche di cui essa si costituisce. Ne possiamo ricordare principalmente due.
- il mezzo dei sutra (comprendente sia l’ Hinayana che il Mahayana) e il mezzo dei tantra (il cosiddetto Tantrayana)
- i tre indirizzi classici del buddhismo: Hinayana, Mahayana e Vajrayana
Testi del Buddhismo Tibetano: il Libro Tibetano dei Morti
Di tutti i testi sorti in seno al Buddhismo in Tibet, certamente il più conosciuto in occidente è il Libro Tibetano dei Morti – Bar do thos grol.
Si tratta di un manuale di istruzioni escatologiche che vengono bisbigliate al morente allo scopo di orientarlo in quel periodo e stato che sussegue alla morte e antecede una nuova proiezione nel ciclo dell’esistenza, il bar-do – “intervallo”.
Liberamente tratto da Ramon N. Prats – Le religioni del Tibet in “Buddhismo” – a cura di Giovanni Filoramo, Laterza editore, 2001
- La paura di diventare un Pranic Healer - 4 Maggio 2016
- Amitabha, il Buddha della Terra Pura - 30 Marzo 2016
- Talismani Buddhisti: gli otto simboli di Buon Auspicio - 21 Marzo 2016